martedì 15 dicembre 2015

Rassegna Stampa - Lettera43

Le Pen sconfitta spacca la destra italiana

Fn battuto. Così per le nostre Comunali del 2016 i profili più radicali tramontano. Salvini e Meloni in difficoltà. Risalgono Marchini a Roma e Passera a Milano.

di    -  14 Dicembre 2015
 
Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini.
(© Imagoeconomica) Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini.
La sconfitta al ballottaggio del Front national di Marine Le Pen in Francia crea non pochi problemi nel centrodestra italiano in vista delle elezioni amministrative del 2016.
Se fino a una settimana fa, dopo i primi risultati, il leader della Lega Nord Matteo Salvini e quello di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni già rivendicavano il diritto di scegliere i candidati, con profili più radicali e di destra, ora la situazione si è ribaltata.
SARKÒ RISCRIVE TUTTO. L'affermazione di Nicolas Sarkozy, leader resuscitato, ha innescato subito la reazione di Forza Italia, con gli azzurri già sul piede di guerra nel chiedere a Silvio Berlusconi di virare su toni più moderati.
La manifestazione di Bologna di inizio novembre è ormai un lontano ricordo.
Lo scenario è in continua evoluzione.
Ma iniziano a intravedersi nuove spaccature, in particolare a Roma e Milano.
Tutto infatti gira intorno alla candidatura della Meloni nella Capitale, come alle reali intenzioni di Salvini sul capoluogo lombardo: scendere in campo in prima persona o no?
MARCHINI INDIGESTO. La leader di Fdi non vuole digerire Alfio Marchini, che però a questo punto sembra sempre di più in rampa di lancio, a meno che Giorgia non voglia correre da sola.
Anche perché, ragionano gli ex missini, «una situazione come quella francese non potrà mai esserci in Italia, la destra da noi è troppo spaccata, l'unica speranza è correre uniti, se si ci riesce...».
SFIDA MELONI-SALVINI. Del resto, proprio la Meloni, negli ultimi tempi, in gran segreto si stava organizzando per fare concorrenza politica a Salvini, allo scopo di riprendersi quel consenso elettorale di destra andato alla Lega, in mancanza di alternative, negli ultimi mesi.
In politica gli spazi vuoti vanno riempiti e, dopo la scomparsa di Alleanza nazionale nel Popolo della libertà berlusconiano, quella fetta di elettorato aveva trovato nella nuova Lega di Salvini l’unico referente in campo. 

La spinta nazionale salviniana non c'è

Una felpa dedicata a Salvini in Sicilia.
(© Ansa) Una felpa dedicata a Salvini in Sicilia.
La Lega si è posizionata a destra di recente, solo in occasione delle elezioni europee del 2014.
Ma la spinta nazionale salviniana continua a non esserci.
Il partito 'Noi con Salvini' non decolla.
E qua e là, dalla Puglia al Lazio, continuano i malumori.
IL 15% PICCO MASSIMO? Certo, la Lega è ancora data al 15 % nei sondaggi, mentre Fratelli d'Italia a meno del 5%.
Ma, di settimana in settimana, questo divario si accorcia.
O meglio, la Lega sembra avere perso forza propulsiva. In sostanza pare aver raggiunto il massimo del consenso possibile.
MARINE OLTRE IL 30%. Non si possono certo fare paragoni con la Francia dove Marine Le Pen è volata oltre il 30%.
Sono mondi opposti, anche perché quell’elettorato di destra o anti-sistema è troppo diviso fra gli ex Alleanza nazionale, la Lega appunto, ma anche il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo.
FASE DI STALLO AL NORD. Non solo. In questo momento la Lega è in fase di stallo al Nord, dove la maggioranza della base militante, che ha nel vecchio e potente ex ministro Roberto Calderoli il proprio referente, non ne vuole sapere di rinunciare alla propria identità padana e secessionista.
E allo stesso tempo i padani sono in cirisi al Sud dove il movimento 'Noi con Salvini' è una miscellanea di gruppi e provenienze diversissime fra loro, spesso persino antitetiche, che non riesce a darsi una organizzazione e rappresentanza stabile, condivisa e credibile.

Rottura padana con CasaPound

Manifestanti di CasaPound.
Manifestanti di CasaPound.
Infine a destra c'è poi il problema CasaPound, che nonostante abbia subito approfittato della svolta salviniana per ottenere visibilità e riconoscimento politico, creando anche la sigla politically correct 'Sovranità', non riesce a ottenere assicurazioni concrete dalla Lega.
Anzi, Salvini ha già iniziato a prendere le debite distanze dai “fascisti del terzo millennio” e detto chiaramente che, alle elezioni amministrative - a Milano e in tutto il Nord - ci sarà solo la Lega.
E che la lista Salvini continuerà a occuparsi autonomamente del resto d’Italia. Marco Tarchi, professore all'Università di Firenze, politologo, esperto di populismi, non vede rotture: «Non credo. A parte il fatto che, stando agli ultimi echi di manifestazioni pubbliche, il rapporto fra Casa Pound e Salvini non si è interrotto, è semmai al secondo che converrebbe staccarsi dai primi. Stiamo parlando di un partito dato da alcuni sondaggi al 16% e di un movimento che elettoralmente è allo stato pulviscolare. Quanto a Fratelli d'Italia, rischia di faticare a raggiungere la soglia di sbarramento prevista dalla nuova legge elettorale; in caso di rottura con la Lega, rischierebbe fortemente di essere penalizzata dalla logica del 'voto utile'».
NE APPROFITTA FDI. In ogni caso ad approfittarne potrebbe essere Fratelli d’Italia che ha lanciato un congresso ri-costituente della destra italiana, con la benedizione dell'intellettuale Marcello Veneziani e la creazione di una sigla aperta alla società civile come 'Terra nostra'.
GIORGIA CON DUE MISSINI. Non solo, a recuperare e presidiare la destra dura e pura, Meloni ha ingaggiato due noti missini doc: l’ex segretario nazionale della Fiamma Tricolore, Luca Romagnoli (già eurodeputato e amico di Jean Marie Le Pen) e il “barone nero” Roberto Jonghi Lavarini (il primo a schierarsi con la Lega alle elezioni europee 2014) che hanno dato vita al movimento fiancheggiatore Destra sociale, lanciato proprio a Milano.
SILVIO STA CON PASSERA? In tutto questo Silvio Berlusconi continua a tacere, forte del patto del Nazareno con Matteo Renzi.
Ma gli scricchiolii sulla candidatura di Giuseppe Sala, il candidato renziano a Milano, stanno convincendo a l'ex Cavaliere a virare su Corrado Passera, il leader di Italia unica.
E questo sarebbe un candidato che né la Lega né Fdi potrebbero digerire. A quel punto la spaccatura sarebbe totale.  «Anche se il modello Le Pen non è esportabile» conclude Tarchi « certamente a Salvini conviene tenersi ben stretta l'alleanza tattico-strategica che ha messo in piedi, e soprattutto mantenere la linea populista, in prospettiva molto più ricca di consensi della convergenza con ciò che resta del Pdl».
 

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