La pace in Siria? Una catastrofe per borse, petrolieri e affaristi
☞ del 1 gennaio 2016 ✎ Nessun Commento
Ezra Pound aveva ben ragione a disprezzare banche e banchieri. Al di là d’ogni retorica, l’economia capitalistica rimane un mostro freddo e avido. Crudele. L’ennesima conferma arriva dal noto sito MarketWatch — ripreso da Milano Finanza, non proprio un bollettino estremista…. — che ha individuato i “grandi pericoli” che potrebbero fare tremare i mercati nel 2016. A prima vista nulla di strano, gli analisti temono il rinvio della presentazione del nuovo modello di iPhone (il 7 e il 7-Plus), prevista a settembre. Un evento del genere minerebbe l’intero settore tecnologico, provocando un crollo delle borse. Scontato anche il timore per le dimissioni anticipate del presidente della BCE Mario Draghi, il banchiere più amato dai trader. Non meravigliano più di tanto nemmeno le paure sulla tenuta delle tante startup tecnologiche valutate più di 1 miliardo di dollari, i cosiddetti “unicorni”. Se i modelli di business di Airbnb o Uber possono giustificare queste mega valutazioni, non si può dire lo stesso di tutti gli altri 143 “unicorni”. Nel momento in cui venisse scoperto il bluff di un paio di loro, le borse vacillerebbero un’altra volta.
Ciò che invece colpisce e indigna, preoccupa e scandalizza sono le spietate, fredde ma lucidissime considerazioni sulla guerra civile siriana. Per i callidi analisti finanziari: «La pace in Siria sarebbe una vera catastrofe per i mercati. Il motivo è semplice: il prezzo del petrolio crollerebbe fino a 10 dollari al barile, portando sull’orlo della bancarotta molti Paesi produttori e riducendo drasticamente i profitti dei gruppi petroliferi. E’ molto improbabile che la pace venga raggiunta al tavolo delle trattative. Ma se il presidente Bashar al Assad (nella foto) fosse costretto a lasciare la Siria, lo Stato islamico potrebbe essere sconfitto rapidamente dall’azione combinata della Russia, delle forze locali e dei Paesi occidentali. Una volta crollato in Siria, lo Stato islamico verrebbe facilmente sloggiato anche dalla Libia e così la produzione di petrolio salirebbe ulteriormente. Come conseguenza di questi eventi, il petrolio a 10 dollari non sarebbe affatto un’ipotesi da fantascienza». Nulla di più, nulla di meno.
Insomma, per le borse, i fondi, le multinazionali del petrolio, per gli gnomi di Wall Street, Londra, Francoforte e dintorni, il terribile conflitto siriano (con tutte le sue implicazioni, terrorismo e immigrazione di massa compresi) è un ottimo affare. Guai a fermarlo. Come avvertiva Alberto Sordi, finche c’è guerra c’è speranza….
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